Il cappuccio a coprirgli il capo rasato. Solo un'ombra nera sotto il velluto dell'accappatoio. Sotto quel cappuccio due tagli orizzontali, due strappi chiari di ferocia tra perle di sudore: occhi di ghiaccio. Il movimento ritmico delle mani ora in guardia destra, ora in guardia sinistra perchè a Marvin veniva naturale l'una e l'altra posa. Ma era Vito Antuofermo il mio idolo in quegli anni: un concentrato di coraggio, forza ed umiltà. Un grande pugile campione in una categoria, quella dei pesi medi, che in quel periodo proponeva talenti di classe purissima.
Antuofermo-Hagler fu annunciato come il “match del secolo”, uno dei tanti di un secolo che per la boxe fu irripetibile. Si affrontarono a Las Vegas con l'eco delle slot machine in sottofondo. Fu una battaglia, uno scontro tra Titani, un combattimento che passò alla storia. Vito attaccava a testa bassa incurante dei colpi di sbarramento che gli arrivavano da tutte le parti.
Hagler era indiscutibilmente più forte e dopo dieci round aveva in mano il match, ma commise l'errore di pensare che quell'italiano nato a Bitonto ma cresciuto nella periferia di New York fosse ormai cotto.
Invece Vito si lanciò a testa bassa contro “The Marvelous” nelle ultime cinque riprese con una foga ed una rabbia che nasceva da anni di povertà e rinunce, nasceva dagli sfottò di portoricani ed irlandesi che si dividevano la periferia della “Grande Mela“ cercando polpa anche nel torsolo. Avevo le lacrima agli occhi sulla poltrona di casa mia in quella notte di fine novembre del 1979. Alla fine i giudici emisero un verdetto di parità che ancor oggi fa discutere, ma che consentì a Vito di conservare il titolo. Pagò però un prezzo altissimo: settanta punti di sutura per le ferite infertegli da Hagler e una ferita più profonda e più difficile da ricucire nell'animo.
Vito qualche mese più tardi cedette il titolo ad Alan Minter dopo un verdetto che definire scandaloso è un eufemismo, ma anche questo è pugilato. Hagler invece era ormai il pugile più famoso al mondo. Era “The Marvelous”, era l'essenza della boxe in una categoria, quella dei pesi Medi, che in quegli anni propose campioni straordinari come Roberto “Mani di Pietra” Duran o come l'argentino Roldan o l'ugandese Mugabi detto, non a caso, “The Beast”, la Bestia. E che dire di Thomas Hearns con cui Hagler disputò un match che durò solo 3 riprese, presentato come “The War” (La Guerra), ed è al settimo posto nella lista dei 100 più grandi combattimenti della storia della boxe.
Vinse Hagler e quei 9 minuti sono leggenda. Andatelo a cercare su Internet ma tenete lonytani i bambini. L'ennesimo “match del secolo” che chiuse la carriera di Hagler risale al 1987 quando di fronte “The Marvelous” si ritrovo Ray “Sugar” Leonard, il nero che piaceva ai bianchi, quello che danzava sul ring facendo fare paragoni arditi e improponibili con l'unico vero ed indiscusso dio del pugilato: Cassius Clay alias Mohamed Alì.
Vinse Leonard con un verdetto che definire contrastato è un eufemismo. Perchè nella boxe troppo spesso se c'è un match ci deve essere la rivincita, e se ne vinciamo uno a testa poi si fa pure la bella che il cassiere gongola. Hagler si disse disgustato di un mondo che non rispettava l'onore e il sacrificio, e salutò la compagnia.
Venne in Italia dalle parti di Milano perchè voleva fare l'attore. Quella sera, quando lo vidi entrare in studio, mi emozionai come un bambino al quale appare Babbo Natale.
Guardavo quegli occhi che erano stati fessura, osservavo quelle mani che erano state pesanti come martelli forgiati dal dio della Guerra in persona. Restai stupito dal fatto che fosse poco più alto di me. Rimasi colpito dalla sua gentilezza e dalla sua disponibilità. In fondo ero un “cronistello molto pischello” di fronte ad uno che era stato intervistato dai più grandi giornalisti dei più grandi network del Mondo.
Ascoltavo le sue risposte e intanto fissavo ora le sue mani, diventate improvvisamente gentili, ora i suoi occhi, un lago di mitezza. Di fronte a me c'era un uomo normale. Eppure stavo intervistando Marvin Hagler, stavo intervistando “The Marvelous”, stavo intervistando uno dei più grandi pugili della storia della boxe.
Ciro Corradini